Schlein attacca Meloni sulla sanità: “Siamo la Repubblica delle liste d’attesa”

Il premier time alla Camera
“Siamo diventati la Repubblica delle liste d’attesa”, attacca la segreteria Pd. Meloni accusa il colpo e poi ribadisce il sostegno al massacro di Gaza

Il cuore della politica dovrebbe essere Montecitorio: premier time parte seconda e stavolta senza il ritardo, dovuto alla morte di papa Francesco, che aveva parzialmente depotenziato, redendole un po’ impuntuali, le domande al Senato. Invece, non certo per la prima volta, la propaganda fa premio su tutto, ci sono le telecamere, la diretta tv, l’imperativo è scegliere il terreno più propizio per fare bella figura e soprattutto per farla fare pessima all’interrogata, Giorgia Meloni, che risponde a una domanda per gruppo parlamentare.
Capita così che la parola Ucraina non venga pronunciata neppure per sbaglio e l’Europa sia chiamata in causa solo perifericamente. Alla vigilia dell’incontro di Istanbul, comunque vada a finire, l’assenza di riferimenti a quella vicenda è un tantinello surreale. A scaldare un po’ il gelo dell’occasione perduta ci pensa Riccardo Magi. Al suo gruppo, +Europa, è stata negata la domanda a favore di quella del rappresentante della Val d’Aosta. Irrompe vestito da fantasma con un cartello che chiede di rompere il silenzio di Stato sui referendum e il presidente Fontana lo fa trascinare via dai commessi. Se di Ucraina non si parla Gaza spunta grazie all’interrogazione di Avs, per bocca del leader verde Bonelli. Chiede cosa pensi la premier della mattanza e se intenda richiamare l’ambasciatore italiano. Per una volta la risposta è netta. Giorgia definisce sì “ingiustificabili” le bombe di Netanyahu, a mezza bocca, ma per il resto sposa in pieno la visione del premier israeliano: Israele è stata attaccata, è Hamas che deve liberare gli ostaggi e arrendersi deponendo le armi. Dunque no, onorevole, nessuna intenzione di richiamare ambasciatori di sorta.
Conte, che in realtà aveva adoperato tempo e domanda per chiedere perché Meloni voglia sprecare miliardo a vantaggio della Germania col piano di riarmo invece che usarli per le esigenze degli italiani alla canna del gas, rilancia anche su Gaza, chiedendo a tutti di alzarsi in segno di solidarietà con la popolazione bombardata. Si alzano solo i 5S, Avs e il Pd e il colpo di teatro va a vuoto. Tra l’ex premier e l’attuale inquilina di palazzo Chigi va in scena l’ormai abituale scambio di insulti, in particolare sui soldi investiti da Conte in difesa quando era premier. Meloni cita le cospicue spese dei governi, una per una, e il duello si conclude così. Meloni finisce invece al tappeto con Elly Schlein. La domanda della segretaria dem è sullo sfascio della sanità. Giorgia canta il solito ritornello fasullo, ovvero il noto mantra sul suo governo che avrebbe investito nella sanità più di qualsiasi altro, ed elenca gli interventi accreditati al suo governo. Ma non c’è e non ci può essere storia: accalorata come forse mai prima, la segretaria del Pd tuona: “Curarsi è diventato un lusso, siamo la Repubblica delle liste di attesa!”. Giorgia Meloni incassa e porta casa, colpita da un gancio poderoso. Finché i tempi delle liste d’attesa restano questi attiali – ovvero biblici – persino per la fantasiosa premier non c’è nessun modo di uscirne a testa alta.
Ma gli scontri, gli scambi di insulti, le trovate dialettiche avvengono in un contesto internazionale ben delicato. Da quel punto di vista, ieri, la capitale della politica italiana era a Coimbra, in Portogallo. Al vertice Cotec Mattarella e Draghi duettano in perfetta intesa. Draghi sferza l’Europa. “I dazi di Trump sono il punto di rottura di una crisi che maturava da tempo” e anche se la guerra passerà a più bassa intensità la situazione non tornerà normale. L’Europa, sostiene, ha smesso di contare sulla propria domanda interna per crescere, si è messa nelle mani dei consumatori americani. L’accordo con gli Usa ora e per ora è imprescindibile ma in prospettiva deve tornare a fare da sola. Elenca quindi per una mezz’ora buona la sua ricetta, che è complessa e articolata e probabilmente dal punto di vista tecnico efficace. Ma lo scoglio non è tecnico. È politico.
Di quello parla invece il presidente Mattarella: “Stare fermi non è più un’opzione”. Il capo dello Stato cita i rapporti dello stesso Draghi e di Letta sulla competitività e sul mercato interno li indica come direzione strategica ma sottolinea che “competitività e sicurezza sono intimamente connesse”. Sicurezza e fine della dipendenza strategica che affligge il Vecchio continente significano per Mattarella Difesa comune europea. È quello oggi il terreno sul quale si gioca la partita dell’integrazione europea, dunque anche delle chances di recuperare competitività o perderla per sempre. Non è una dissertazione economica. È un messaggio politico puntuale e preciso rivolto a Giorgia Meloni. Perché oggi, per il presidente, la vera grande responsabilità del governo è non accelerare abbastanza sull’integrazione sottraendosi al progetto di difesa comune a cui lavorano Germania e Francia. I temi discussi ieri a Montecitorio sono tutti molto rilevanti. Ma la partita decisiva per l’Italia, l’Europa e l’Occidente si gioca in questo momento sul terreno indicato lontano dalla Camera da Mattarella e Draghi.
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